
10 Set La parabola di Intel
Nella scorsa Curiosità avevo dato ampio spazio a Nvidia, produttore di microchip e società di maggior valore al mondo, che ha la sede nella città di Santa Clara in California. Nella stessa trova spazio anche il quartier generale di un altro big del settore, Intel. Fondata nel 1968, è nota in particolare per l’invenzione del primo microprocessore nel 1971, ad opera di un team comprendente anche il giovane fisico vicentino Federico Faggin. Con il passare del tempo è stata promossa fra le maggiori multinazionali dell’elettronica e dell’informatica, anche se di tanto in tanto ha vissuto momenti non brillanti, come ad esempio:
- il 1986, conclusosi con il bilancio in perdita;
- il 2006, al termine del quale, a seguito della diminuzione del fatturato e dell’utile, dovette intervenire con un piano di ristrutturazione che la portò ad un taglio robusto della forza lavoro, alla cessione di partecipazioni considerate non strategiche, e ad una focalizzazione maggiore sugli ambiti chiave.
Anche negli ultimi tempi non se la sta passando bene, stando ai dati di bilancio:
- il 2024 si è chiuso in perdita per circa 13 miliardi di dollari, a fronte di un fatturato di 53, in leggero calo;
- inoltre i flussi di cassa positivi mancano dal 2021.
Per il 2025 il trend sembra immutato, infatti dopo un primo trimestre anemico, il secondo ha registrato una perdita di quasi 3 miliardi di dollari, principalmente dovuti ad un piano di ristrutturazione, che impatterà ancora sull’occupazione. Negli ultimi anni Intel sta soffrendo a causa de:
- la concorrenza agguerrita delle sue connazionali Nvidia e AMD, della coreana Samsung e soprattutto della taiwanese TSMC, la più grande società del settore (semiconduttori e microchip) al mondo,
- l’ostinazione nel voler mantenere in casa l’intero processo produttivo (differentemente dalle concorrenti che esternano buona parte di esso, rimanendo dunque molto agili),
- il ritardo “nello stare al passo coi tempi” (leggasi intelligenza artificiale).
Fortunatamente, sembra aver trovato dei sostenitori:
- il governo americano, investirebbe circa 10 miliardi di dollari per acquisire il 10% del capitale sociale, allo scopo di limitare la dipendenza dall’estero e mantenere in patria la produzione tecnologica;
- la giapponese Softbank metterebbe sul piatto 2 miliardi per il 2% delle azioni, che considera sottovalutate.
Ciò ha portato ad un timido recupero della quotazione, che comunque è in calo del 35% nell’ultimo triennio e di oltre il 50% nell’ultimo lustro.
Concludo la mia Curiosità odierna allo stesso modo della precedente: per un risparmiatore è davvero difficile se non impossibile la scelta delle aziende sulle quali investire, che è quindi opportuno lasciare ai professionisti di settore.