
02 Lug Piazza Affari
Con l’aumento di circa il 4% nel 2024 la Borsa Italiana ha raggiunto la capitalizzazione di 820 miliardi di euro, pari al 38% del PIL nazionale. Poiché vent’anni fa valeva circa il 50%, la discesa probabilmente testimonia che il nostro mercato dei capitali “non è più di moda”. Come avevo accennato nella mia Curiosità del 22 gennaio scorso, la tendenza al delisting (l’uscita dalla Borsa) è ormai cronicizzata: per esempio lo scorso anno il listino principale ha registrato 15 uscite e 2 sole entrate, mentre quello delle piccole società ha dato il benvenuto a 23 e 14 se ne sono andate. La recente relazione annuale della Consob (l’organo che vigila sul nostro mercato finanziario) riferisce che anche se il problema è comune in gran parte dell’Europa (non negli USA), in Italia è particolarmente pronunciato. E comunque in molti paesi dell’Area i numeri di partenza sono ben diversi: in Francia la Borsa nazionale vale il 105% del PIL, nel Regno Unito il 125% e in Svezia addirittura il 180%. In quest’ultimo, gli investitori grandi e piccoli sono stimolati ad investire nelle azioni domestiche anche grazie agli incentivi fiscali (detrazioni ed esenzioni) garantiti loro dallo Stato, che ottiene così un sostegno “privato” all’imprenditoria locale. A differenza del nostro Paese, dove il governo in carica è alla continua e affannosa ricerca di capitali per finanziare l’elevato debito pubblico, nello Stato scandinavo l’attenzione è dunque rivolta al reperimento di risorse per l’impresa. Preciso inoltre che il tessuto produttivo loro è molto più simile al nostro (caratterizzato da piccole aziende) che a quello americano, infatti il 90% degli ingressi al mercato dei capitali svedese è rappresentato proprio dalle small cap.
Nonostante ciò Piazza Affari si distingue nel panorama europeo come la regina dei dividendi, infatti il cosiddetto dividend yield è stato pari al 5% nel 2024 e del 4,5% nel 2025. Aggiungo che, considerando appunto i dividendi, il FTSE Mib non ha nulla da invidiare ai suoi omologhi dell’Area: il suo valore netto, comunicato e pubblicato quotidianamente, è di circa 39.000 punti, ma nella versione “total return” (comprendente i dividendi reinvestiti e utilizzata da tutti gli altri paesi) è pari a 100.000 punti. Infine, faccio notare che dal 2012 è cresciuto di oltre il 300%, come i listini azionari di Francoforte e Parigi.
Insomma, le aziende abbandonano la nostra Borsa, ma gli investitori in cerca di dividendi alti vi si rifugiano! Di simili contraddizioni nella finanza ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno. Queste non devono rappresentare un freno all’investimento dei nostri capitali, che è invece necessario affinché non vengano erosi dall’inflazione. L’importante è farlo al meglio, ossia DIVERSIFICANDO bene.