Terre davvero rare?


Quando nel 2022 scoppiò la guerra Russia-Ucraina, il prezzo del petrolio decollò, facendo pensare che la soluzione obbligata e inarrestabile sarebbe stata nelle energie pulite, come solare ed elettrico. In soli tre anni tutto sembra cambiato, infatti le quotazioni dei fondi d’investimento sui settori del solare e soprattutto delle terre rare (utilizzate nelle auto elettriche, oltre che in diversi ambiti dell’economia digitale) sono crollate di circa il 30% nel 2024 e di un ulteriore 15% da inizio del 2025.
Le terre rare rappresentano 17 metalli, noti già due secoli fa e così chiamati perché erano simili a terreni, e difficili da trovare e da isolare. Fra essi cito:

  1. il disprosio, utilizzato per le auto elettriche e le turbine eoliche,
  2. il terbio, che si trova nelle lampade a basso consumo,
  3. il neodimio, presente negli hard disk. 

L’utilizzo dei diciassette è davvero molto ampio: fibre ottiche, droni, armamenti, edilizia, aerospazio e, come già riferito, automotive.
Il nome che li accomuna è oramai superato, poiché oggi non sono assolutamente rari, essendo molto più abbondanti di loro “simili” quali ad esempio oro, platino, argento e palladio. Le aree a più ampia diffusione sono: Cina, Brasile, India, Australia, Russia e Groenlandia. Il gigante asiatico domina la scena, detenendo il 70% dell’attività estrattiva e gestendo il 90% del commercio mondiale. 
Le terre rare sono utilizzate anche in ambiti “rispettosi dell’ambiente”, ma la loro estrazione necessita di tempi lunghi, di grandi investimenti ed è molto inquinante. La città cinese di Baotou, oltre ad essere una delle più attive del settore, è anche una delle più avvelenate al mondo: sono aumentati esponenzialmente i casi di diabete e di malattie tumorali nell’uomo ed è diminuita parecchio la vita media degli animali. A causa di tali problemi, per il momento si preferisce dunque l’estrazione in zone desertiche.
L’unico paese europeo “ricco” di terre rare è la Norvegia, dove fortunatamente c’è un alto livello di sensibilità ambientale. Il nostro continente è costretto dunque ad importare la quasi totalità del suo fabbisogno, ma affidarsi necessariamente anche al recupero/riciclo. È proprio questo l’ambito sul quale dovremo sempre più investire in futuro, così come in tutte le altre attività rispettose dell’ambiente, la cui importanza sembra recentemente passata in secondo piano. Ciò è confermato dal ritiro degli USA dagli accordi sul clima di Parigi e dall’abbandono di Net Zero Asset Management di alcuni big mondiali della finanza. Lo stato di salute della nostra “Casa” si sta deteriorando progressivamente quindi il tema della sostenibilità ambientale dovrà ritornare in primo piano, e tutto il mondo continuerà ad investirvi, anche noi risparmiatori.