WeWork

Il 2023 si avvia a conclusione con i mercati azionari in discreta ripresa, dopo la debacle del 2022: l’indice mondiale aveva chiuso con un -19% al 31 dicembre scorso, ora è in crescita del  14%.
Non tutti i settori sono andati allo stesso modo: fra i migliori segnalo il bancario, con una salita del 40%, mentre il peggiore è stato sicuramente l’immobiliare, con un crollo di oltre il 30%. Proprio questo preoccupa la Cina, dove il big di settore Evergrande ha abbassato la saracinesca, travolto da una montagna di debiti. Anche dall’altro capo del Mondo la situazione non brilla: tranne che per alcune città quali Miami e New York, dove i prezzi degli immobili sono in continua ascesa, il settore soffre anche in USA. A certificarlo è la recente bancarotta del colosso WeWork. La società, specializzata nel proporre spazi per il lavoro condiviso (coworking), aveva una valutazione di quasi 50 miliardi di dollari (simile all’odierna capitalizzazione di Banca Intesa) all’inizio del 2019, l’anno nel corso del quale sono iniziati i problemi. Una decisa politica di riduzione dei costi (=licenziamenti) ha permesso un “temporaneo galleggiamento”, ma con il Covid è colata a picco. 
WeWork, che vantava il maggior numero di uffici a Manhattan, è stata infatti travolta dal cambiamento innescato dalla pandemia: il coworking, trend di assoluto successo che ha cavalcato negli anni della sua crescita, è stato soppiantato dallo smart working, la nuova tendenza del “lavoro da casa”. 
Il prezzo delle azioni del colosso immobiliare, che ha debuttato alla Borsa di New York solo nel 2021, è crollato del 99%, causando danni economici anche rilevanti ai danni di grandi investitori come Softbank (il principale), Black Rock e Capital Group, e piccoli risparmiatori.
Un crollo di simili proporzioni è accaduto qualche anno fa in Italia per BIO ON, società bolognese specializzata nella produzione di bio plastiche da scarti agricoli. Dall’ingresso alla Borsa di Milano nel 2014, il suo valore è salito costantemente raggiungendo un miliardo di euro nel 2019, ma alla fine dello stesso anno è fallita, sotto le accuse di false comunicazioni sociali, situazione finanziaria precaria, irregolarità nella contabilità. Anche in questo caso sono molti gli investitori ad essere rimasti col cerino in mano.
Ai risparmiatori che vogliono tutelare e far crescere i loro patrimoni suggerisco ancora una volta di evitare il “fai da te”, e quindi l’acquisto di singoli titoli in autonomia, e di investire diversificando mediante strumenti finanziari gestiti da accreditate società internazionali di gestione del risparmio.