I primi della classe

Recentemente la Commissione Europea ha rivisto al ribasso le stime della crescita economica del 2023 dell’Unione, da 1% a 0,80%. Lo stentato aumento del PIL è condizionato negativamente dalla Germania, in recessione tecnica, ed è invece tenuto a galla da alcuni paesi virtuosi fra i quali la Spagna e il Portogallo. Ricordo che poco più di dieci anni questi ultimi furono protagonisti della crisi dei debiti sovrani dell’Europa, assieme a Irlanda, Italia e Grecia, i cosiddetti PIIGS. Da allora però entrambi hanno decisamente “cambiato passo”: la Spagna ha imboccato la giusta strada per la riduzione del debito pubblico (in rapporto al PIL), tanto che a fine 2022 era 113 ma si avvia a 110 nel 2024, stando ai dati dell’agenzia internazionale di rating S&P. 
Ancora meglio va il Portogallo: S&P ha alzato il giudizio sulla solidità del Paese, pur mantenendone il rating a BBB+, mentre l’altra grande agenzia Fitch ha aumentato il rating portandolo da BBB+ ad A-. Ciò in conseguenza al miglioramento del debito/PIL, stimato a 104 per la fine di quest’anno e addirittura a 96 alla chiusura del 2025. 
Inoltre, secondo le stime degli economisti raccolte da Bloomberg (la più grande piattaforma di informazioni finanziarie al mondo), nel 2024 il PIL portoghese crescerà di 1,60% (contro 1,50% dello spagnolo e 0,60% dell’italiano).
Il governo del Primo Ministro Antonio Costa, constatando i grandi progressi compiuti dalla propria nazione, ha deciso di revocare alcune misure straordinarie di sostegno all’economia attuate nel pieno della crisi del 2011: per esempio, l’inizio del prossimo anno segnerà la fine della “neutralità fiscale” per i pensionati esteri che incassavano qui l’assegno previdenziale. Una strategia, questa, che aveva aperto le porte del paese lusitano a molti “retired”, fra i quali 3.500 italiani, che hanno anche probabilmente contribuito alla crescita doppia dei prezzi degli immobili rispetto all’Unione Europea, dal 2012 al 2021. 
L’ottimo stato di salute del Portogallo è riscontrabile finanziariamente anche dallo spread sui titoli di stato, pari solo a 1% circa con la Germania, il benchmark dell’Area. Il nostro spread è invece doppio, 2%, a confermare un andamento meno positivo, anche in funzione:

  1. degli elevati deficit e debito pubblico;
  2. della riattivazione dal 2024 del patto di stabilità, che obbliga tutti gli aderenti all’Unione a riportare il debito pubblico a valori “ragionevoli”.


Proprio il differente stato economico-finanziario di ogni paese, specifica la diversificazione che dobbiamo adottare noi risparmiatori per investire con la massima sicurezza i nostri capitali.