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Nuova normalità

Uno degli effetti negativi della pandemia è stato senz’altro l’aumento straordinario dei debiti pubblici, finalizzato a sostenere l’economia in seria difficoltà: infatti il Fondo Monetario Internazionale stima una contrazione del PIL del 4,40% nel 2020.
Quest’anno il debito governativo mondiale ha superato il PIL (ancor più che dopo la Seconda Guerra Mondiale), essendo pari al 101,50% di quest’ultimo.
Stime recenti sul tema “debiti” evidenziano principalmente che:

  • il numero di paesi con un debito superiore al PIL è passato da 19 a 30;
  • il rapporto debito/PIL dell’Area Euro è salito da 84 a 101% mentre nei Paesi Emergenti da 52 a 64%;
  • nella classifica dei paesi con più alto debito su prodotto interno lordo, troviamo ai primi posti il Giappone con 266%, la Grecia con 205%, l’Italia 161%, il Portogallo 137% e gli USA 131%;
  • il debito globale (pubblico e privato) mondiale è salito al 365% del PIL, con la distinzione fra paesi sviluppati ed emergenti, rispettivamente a 432 e a 248%.

Fortunatamente il debito mondiale costa poco o nulla, oramai da diversi anni: dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers nel 2008 e soprattutto la crisi europea dei debiti sovrani nel 2011, le principali Banche Centrali mondiali hanno deciso di azzerare i tassi di interesse per aiutare l’economia. E certamente manterranno tali livelli per qualche anno ancora.
I tassi bassi però distorcono un già debole contesto economico, mantenendo in vita i debitori fragili che quindi arrecano danni alle imprese sane e alterano la competitività del mercato.
Col tempo però i debitori fragili sono destinati a scomparire (o meglio a fallire) lasciando strascichi in ambito economico ma anche finanziario (ricordo i molti risparmiatori coinvolti nei casi Cirio, Parmalat o, recentemente, Astaldi): ancora una volta colgo l’occasione per ribadire che per preservare i nostri patrimoni è meglio evitare di prendere scommesse su singole aziende, acquistando obbligazioni e azioni, ma è consigliabile diversificare acquistando strumenti finanziari collettivi di risparmio (per lo più fondi comuni d’investimento).