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Non è oro tutto ciò che luccica

Come oramai ben noto a tutti, il 2022 è stato un anno molto difficile per i mercati finanziari, che hanno subito una flessione rilevante: molto sinteticamente, azionari e obbligazionari sono calati di circa il 20%. 
Uno dei settori che ha maggiormente tenuto è quello bancario, con una diminuzione irrilevante, pari a circa -4%; inoltre figura fra i protagonisti di questo inizio anno, con una crescita di quasi il 30%. Il motivo di tanta vitalità è ascrivibile all’andamento dei tassi, i cui rialzi hanno contribuito ad aumentare i margini delle aziende del settore:

  1. innanzitutto l’eccesso di liquidità che le banche depositano presso la BCE, da qualche mese non è più penalizzato, ma premiato: la stessa faceva pagare per custodire il denaro, ora paga;
  2. inoltre, con i tassi di interesse più alti, la forbice del credito (la differenza fra il tasso sui prestiti erogati e quello sui depositi) si è allargata, con il conseguente aumento del margine finanziario o margine sull’intermediazione creditizia.

Tutto ciò ovviamente si riflette sui dati di bilancio, e più precisamente sugli utili, previsti in forte aumento: infatti le due big italiane, Intesa e Unicredit, dovrebbero aver chiuso il 2022 con risultati attorno ai 5 miliardi di euro.
Come evidenzio di seguito, non tutte le banche si sono però comportate allo stesso modo.
La BNS, Banca Nazionale Svizzera, ha infatti registrato la sua maggiore perdita nei quasi 120 anni di storia: 132 miliardi di franchi, corrispondenti a 134 miliardi di euro (circa 2 volte e mezzo il valore di Enel, la maggiore società quotata alla Borsa di Milano). La causa principale di tale debacle è imputabile alla discesa dei prezzi dei suoi asset, causati dalla discesa dei mercati finanziari, e dalla svalutazione delle altre divise rispetto alla “moneta di casa”. Ciò si è ovviamente riverberato sulla sua quotazione (la BNS è infatti uno dei rari casi di Banca Centrale quotata, così come quelle di Grecia, Belgio e Giappone): il suo titolo azionario è sceso dell’8,5% nel 2022 e dell’1% dallo scorso 1 gennaio.
L’anno passato è stato molto critico anche per Credit Suisse, la cui quotazione è scesa di quasi il 70%, e il presente non è iniziato bene, dato il calo del 6%. Il crollo è imputabile alla perdita monstre del bilancio 2022, 7,3 miliardi di euro, che è seguita a quella di oltre 1,5 miliardi dell’esercizio precedente. Fra le cause del disastro cito: il riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, il caso di corruzione in Mozambico, e le perdite miliardarie rivenienti da corposi investimenti scellerati in due società finanziarie poi fallite, che hanno favorito deflussi di depositi per oltre 100 miliardi di euro nel solo quarto trimestre.
Fatte salve le due eccezioni elvetiche, il settore dovrebbe quindi rimanere in salute: il condizionale è d’obbligo poiché l’aumento dei tassi porta sempre una salita delle sofferenze sui prestiti concessi, quindi potenziali perdite. Inoltre una possibile recessione economica, causerebbe anche il rallentamento dell’attività bancaria, con la conseguente riduzione dei margini. 

L’investimento sul settore bancario è dunque percorribile, a patto di approcciarlo per il tramite di specifici fondi e altri strumenti d’investimento gestiti, che garantiscono la necessaria diversificazione, e tutelano noi risparmiatori da singoli accadimenti potenzialmente molto dannosi.