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Debiti in aumento

È di qualche giorno fa la notizia che gli Usa hanno raggiunto il tetto massimo consentito di debito pubblico, ossia 31.400 miliardi di dollari. Il cosiddetto “debt ceiling”, che viene deciso dal Congresso, è stato più volte ritoccato all’insù negli ultimi anni, l’ultima volta nel 2021. Date le molte imminenti necessità finanziarie del Governo, per pagare ad esempio gli stipendi e le pensioni dei dipendenti pubblici e gli interessi sul debito preesistente, presto dovrà essere nuovamente incrementato: l’alternativa inimmaginabile sarebbe la dichiarazione dello stato di default del Stati Uniti, che porterebbe enorme instabilità finanziaria sull’intero pianeta. Il Congresso, a maggioranza Repubblicana, dovrà quindi necessariamente trovare un accordo entro il termine ultimo del prossimo 5 giugno.

Purtroppo la crescita del debito pubblico è diventata una costante per la quasi totalità dei paesi del globo, e a causa del Covid è diventata addirittura esagerata. Inoltre, la situazione si è ulteriormente aggravata anche a seguito del calo diffuso dell’economia (o del PIL): praticamente il debito cresce più che il fatturato. Negli USA, ad esempio, il rapporto debito/PIL è salito al 130% circa (nel 2007 era circa al 70%).

La situazione analoga se non peggiore si registra genericamente nei paesi emergenti, molti dei quali sono addirittura a rischio default, per l’impossibilità di ripagare tranche di debito pubblico in scadenza (o anche semplicemente pagare i relativi interessi) .

Anche per il nostro Paese il quadro “non è fluido”:

  1. il PIL è a 1.800 miliardi,
  2. il debito pubblico è pari a circa 2.800 miliardi di euro,
  3. il rapporto debito/PIL è dunque 155%.

Considerata la recessione in corso e l’elevato (seppur diminuito) costo delle materie prime energetiche, il primo dovrebbe calare nel 2023: fra le stime più accreditate cito Fitch con -0,1% e Moody’s con -1,4%. Inoltre, a causa del forte rialzo dei tassi, gli interessi sul nostro debito pubblico sono stimati in aumento di 84 miliardi di euro per il prossimo triennio, dai 186 previsti ad aprile dello scorso anno, ai 270 ricalcolati ora: dunque quasi 30 miliardi all’anno in più, che in qualche modo dovremo recuperare.

Il rialzo generalizzato dei tassi di interesse ha causato la caduta dei prezzi delle obbligazioni, penalizzando quindi anche noi risparmiatori: ad esempio il prezzo del BTP a dieci anni è crollato del 25% circa nel 2022. Per contro oggi i rendimenti sono molto interessanti: come al solito è preferibile investire diversificando (con strumenti finanziari di risparmio gestito, come ad esempio fondi comuni d’investimento) piuttosto che optare su una o poche obbligazioni.