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Emergenti

Un mese fa circa è fallito lo Sri Lanka, stato insulare dell’Asia meridionale, di dimensioni pari a circa un quinto dell’Italia e con una popolazione di 22 milioni di abitanti. Finanziariamente si presenta con un PIL di circa 80 miliardi di dollari e un debito sovrano, detenuto quasi esclusivamente da investitori pubblici e privati esteri, di oltre 50: non riuscendo a pagarne una tranche scaduta recentemente, la Banca Centrale è intervenuta dichiarando ufficialmente il default. Tale epilogo è frutto di un’economia soffocata da una pluralità di situazioni fra le quali la pandemia, l’inflazione elevata, e la guerra in Ucraina, che sta lasciando ampie fasce di popolazione senza beni primari come cibo, medicinali e carburanti.


Un altro paese dell’area in grosse difficoltà finanziarie è il Pakistan. Grande oltre due volte l’Italia, conta circa 230 milioni di abitanti, un PIL di 270 miliardi di dollari e un debito pubblico di oltre 100 miliardi, la cui tranche scadente a breve probabilmente non potrà essere rimborsata. Ciò ha indotto il governo a prendere accordi con il Fondo Monetario Internazionale per la concessione di un prestito. Preciso che quanto concesso dallo stesso, è normalmente condizionato all’assolvimento dei “compiti per casa” cui si obbliga il debitore: per il Pakistan la prima richiesta è stata la rimozione dei sussidi per i carburanti accordati al popolo negli ultimi mesi. Tali misure, come spesso accade, creano enormi problemi ai più deboli e sono fonte di disordini sociali.


Anche la Russia è a rischio default: a fine maggio doveva pagare 100 milioni di dollari di interessi su due obbligazioni scadenti rispettivamente nel 2026 e 2036, e ha ottenuto una proroga, scaduta pochi giorni fa. Le sanzioni imposte l’hanno tagliata fuori dal sistema finanziario internazionale e hanno reso intoccabili quelle sue riserve detenute all’estero, che potrebbe invece utilizzare per pagare i suoi debiti. Il governo russo accusa quindi le autorità mondiali di indurla ad un fallimento “artificiale”.
Nel mondo vi sono altri Paesi Emergenti a rischio, come ad esempio Egitto e Tunisia: nonostante ciò l’MSCI Emerging Markets, l’indice azionario che li rappresenta, è in diminuzione “solo” del 19% da inizio anno, al pari di quello tedesco, ma meglio del nostro FTSE MIB (-22%). E la medesima discesa temporanea si registra anche sugli strumenti d’investimento gestiti (come ad esempio i fondi) che investono nelle medesime aree. Perché ciò? La spiegazione risiede nella composizione dell’indice: è costituito infatti dalle principali 1.400 grosse aziende (come Alibaba, Samsung, Tencent, per citare le più rappresentative) basate appunto nei primari 24 paesi emergenti al mondo (non uno solo!): inoltre, essendo per lo più multinazionali, traggono gran parte del loro business “fuori casa”.


Dalla Curiosità odierna ricaviamo ancora una volta che la diversificazione è necessaria per proteggere il proprio patrimonio finanziario: investire infatti in un singolo paese o azienda, può comportare danni economici enormi e irreparabili. E’ preferibile optare per investimenti gestiti da professionisti e realmente diversificati.