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Armi “sostenibili”

Per molti anni l’Europa ha goduto di uno scenario di pace, tanto che le sue principali Nazioni hanno ridotto sempre più gli investimenti nel settore Difesa. L’impegno nei confronti della Nato, garante anche della sicurezza in Europa, prevede spese militari annue pari al 2% del PIL: ma solo i paesi confinanti con nazioni non proprio pacifiche, come ad esempio Estonia e Grecia, vicine di casa rispettivamente di Russia e Turchia, hanno mantenuto quanto pattuito. 

L’Italia investe l’1,3% del PIL, poco più della media europea pari all’1,2%, ma molto più di Austria, Lussemburgo e Irlanda, ultime in classifica con percentuali comprese fra 0,20 e 0,60%.

Ovviamente la guerra in corso ha riacceso l’interesse per il settore, infatti molti paesi, come Svezia e Germania, hanno dichiarato di voler incrementare le spese per gli armamenti. Il fatturato e gli utili delle aziende del settore sono dunque previsti in forte crescita, così come sono salite le loro quotazioni, differentemente da quanto accaduto per i mercati finanziari. Fra queste, cito:

  1. l’italiana Leonardo, il cui titolo azionario segna un rialzo di circa il 50%, in controtendenza rispetto ai ribassi dell’indice domestico (-15%) e quello mondiale (-10%);
  2. l’inglese Bae System, la cui quotazione è salita del 35%;
  3. le tedesche Hensoldt e Rheinmetall, che hanno registrato performance pari rispettivamente a 120 e 175%.

Nel frattempo gli operatori del settore finanziario si stanno interrogando se sia ancora corretto escludere l’industria bellica dalla finanza sostenibile. Infatti fra i diciassette obiettivi del trattato sullo Sviluppo Sostenibile, il sedicesimo persegue “pace, giustizia e istituzioni solide“, e sostanzialmente prevede “la riduzione di tutte le forme di violenza e del tasso di mortalità connesso, la protezione delle libertà fondamentali e dei diritti umani in conformità alle legislazioni nazionali e agli accordi internazionali, e la lotta alla criminalità e al terrorismo“. Da ciò molti esperti deducono che il settore Difesa finalizzato alla tutela della pace di individui/popoli/nazioni possa essere considerato certamente “sostenibile”.

Questo significa che i parametri per la sostenibilità non sono statici, e possono mutare conseguentemente all’accadimento di eventi straordinari.

Detto ciò, poiché credo che l’investimento socialmente responsabile garantirà certamente rendimenti solidi in futuro, suggerisco ai risparmiatori di approfittarne evitando il fai da te, quindi la selezione autonoma di singole aziende, a di affidarsi sempre ai professionisti del settore per valutare investimenti “gestiti” (per lo più fondi d’investimento) di riconosciute società internazionali di gestione del risparmio.